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VARIETA' - CINEMA - MUSICA

ARTICOLI

A CURA DI: Lucia Medri


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Blocco Teatro di Roma


 

Al Teatro di Roma un blocco lungo finora una settimana: due importanti spettacoli non possono andare in scena perché il comparto tecnico aderente al sindacato Libersind è in sciopero. Qui racconto e analisi.Il Teatro India, quel luogo nato per accogliere il meglio del nuovo teatro romano e nazionale è bloccato: due spettacoli dovevano debuttare, Sonora Desert di Muta Imago, sarebbe stata una prima nazionale, e l’Antigone per la regia di Massimiliano Civica si apprestava a mostrarsi per la prima volta al pubblico della Capitale. Va evidenziato che il Teatro di Roma nel primo caso è anche coproduttore insieme ad altri soggetti, tra cui Romaeuropa. Nessuno dei due lavori è ancora potuto andare in scena. Sonora Desert ha perso i primi sei giorni di programmazione e Antigone quattro. Da quando esiste Teatro e Critica, estate 2009, non si è mai verificata su territorio nazionale una situazione del genere: il comparto tecnico facente capo a Libersind Confsal è in sciopero e a quanto pare non vuole arretrare di un punto. Dopo una prima giornata in cui i lavoratori hanno bloccato anche una replica del Macbeth con la regia di Carmelo Rifici al Teatro Argentina, le energie sono state dirette solo sul Teatro India. Il risultato è lo stallo di spettacoli pronti per andare in scena, il pubblico esterrefatto vede recapitarsi dal Teatro Nazionale le email che giorno dopo giorno avvertono del mancato debutto; le due compagnie intanto hanno preso parola raccontando l’accaduto su Facebook, qui la testimonianza di Muta Imago. Il regista di Antigone, Massimiliano Civica, e i suoi attori hanno spiegato come siano stati costretti a provare sotto al sole proprio a causa dello sciopero; la comunità si stringe attorno agli artisti, vittime sacrificali di quello che è un vero e proprio atto di guerra: uno sciopero che mai si era visto così duro, mirato e feroce. C’è poi chi ha riflettuto sulle contraddizioni presenti nell’utilizzo dello strumento dello sciopero che, in questo caso, viene usato da un blocco di lavoratori tutelati (il comparto tecnico assunto dal teatro) con l’effetto di fermare altri lavoratori e lavoratrici (attori, registi, altri tecnici…) meno tutelati, ed è solo una fortuna che in questo caso si parli di produzioni di due teatri nazionali. Si spera insomma che salari e diarie delle due compagnie siano onorati fino all’ultimo centesimo. Simbolicamente però l’attacco è frontale e spezza comunque i progetti di artisti che attendevano fino a questo momento la riapertura dopo un anno e mezzo di pandemia e invece si sono trovati di fronte a una nuova chiusura; di questo dolore bisogna avere rispetto, bisogna misurarlo. Così come d’altra parte bisognerà misurare quello degli spettatori, dei cittadini che negli ultimi giorni hanno avuto la possibilità di capire solo all’ultimo momento, nel pieno pomeriggio (quando Libersind annunciava lo sciopero) che non ci sarebbe stato spettacolo. La città di Roma perde pezzi di espressione culturale, mostra per l’ennesima volta di essere vittima di ingerenze non politiche – che sarebbe una bella parola – ma corporative, di fazioni ideologiche, proprio ora che ne avrebbe più bisogno: dopo una chiusura forzata (la seconda, di sei mesi e mezzo) e alle soglie di una campagna elettorale che già mostra le proprie unghie. Ogni lotta ha le proprie ragioni, ma bisogna pur capire quando gli obiettivi riflettono il puro corporativismo oppure il bene comune. Ogni lotta ha i propri effetti, le conseguenze del blocco dei tecnici di India è sotto gli occhi di tutti. L’8 giugno il sindacato in questione ha emanato un comunicato con cui spiegava le proprie ragioni. Nel primo paragrafo si parla di lotta per ottenere “adeguati livelli di igiene e sicurezza”, ma l’attenzione e lo spazio successivo sono subito proiettati verso la questione che realmente sta a cuore a Libersind: la direzione del teatro. La situazione è gravissima, su questo non hanno di certo torto coloro che chiedono da mesi una direzione: i problemi sembravano risolti con l’arrivo di Pier Francesco Pinelli, vincitore del bando, il quale però non ha mai firmato il contratto e ha rinunciato senza una ragione chiara (che non fosse quella ufficiale di altri impegni lavorativi sopraggiunti). Sta di fatto che il Cda, espresso dai soci, dunque dalla politica (Comune, Regione e Ministero) è incapace di trovare accordo su un nome. Il Teatro di Roma però già settimane fa ha cercato di far tacere il toto-nomi con un comunicato nel quale si spiegava che la nuova direzione verrà scelta per chiamata diretta e non facendo scorrere la graduatoria del bando che avrebbe visto in automatico la figura di Luca De Fusco, cosa che invece chiedeva perentoriamente il sindacato (in uno dei comunicati emanati). Ma il bando pubblicato dal teatro era senza impegno, dunque non c’è nessun obbligo a far scorrere la graduatoria per conferire l’incarico al secondo candidato. Verrebbe da chiedersi come mai la direzione di questo teatro faccia così paura, tanto che alla rinuncia di Corsetti è seguita quella di Pinelli. Di certo, è piuttosto sconfortante osservare da mesi una successione di eventi che ledono la continuità e stabilità dell’offerta culturale e che ora colpiscono una delle sale del Teatro di Roma che ha dato, soprattutto gli scorsi mesi, quelli più difficili, la possibilità alla comunità di artisti di abitare quegli spazi all’insegna della sperimentazione e ricerca. Torniamo al comunicato sindacale dell’8 giugno: il successivo paragrafo è ancora sulla questione della direzione, ma si basa su voci di corridoio e se pensiamo a quanto sia ufficiale e foriero di conseguenze questo scritto (per lo sciopero che ha scatenato) il livello di riflessione è imbarazzante. Il ragionamento si chiude addirittura con una battutina: «Secondo queste voci, non ci sarebbero orientamenti del Teatro verso una scelta a copertura del ruolo del Direttore in linea con i criteri valutativi auspicati dal Ministro della Cultura e da tutti i lavoratori del Teatro, bensì verso competenze di intrattenimento musicale adatto a scenari della Capalbio estiva con balli su sabbia e Prato»: il Prato in maiuscolo di cui parlano è evidentemente un riferimento alla città toscana del Metastasio, uno dei teatri pubblici di maggiore efficienza e successo, quello diretto da Franco D’Ippolito e successivamente da Massimiliano Civica, una direzione costantemente dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori, che cerca di innovare anche nei modi di produzione (si veda la creazione del Gla in pandemia) e non solo nei linguaggi. Insomma il Met è diventato uno (non l’unico certo) di quei luoghi a cui guardare per la gestione del teatro pubblico. Libersind sceglie di non entrare esplicitamente nel merito, preferisce lasciare un’allusione che lascia dedurre (non ci sembra troppo ardito) un collegamento diretto tra il blocco e l’Antigone prodotta dallo stesso Teatro Metastasio diretto da D’Ippolito in quella Prato in grassetto e con la P maiuscola. Poco sotto il sindacato fa seguito alle “voci” di cui aveva dato conto appellandosi al Cda perché sia dato per «finito il tempo delle appartenenze che fanno agio sulle competenze». Qui una riflessione occorre: che significato ha? Tra “appartenenze” e “competenze” c’è un contrasto piuttosto estremo: le prime evidenziano un meccanismo clientelare che, se denunciato, deve avere solide basi di accusa; le seconde sono invece il risultato di un percorso di merito che il Teatro di Roma, in virtù delle scelte operate, e si auspica in linea con quelle da fare presto, ha indubbiamente onorato. E dunque il dubbio sul significato di questa frase, peraltro in grassetto anch’essa, resta irrisolto. Ma se ne evidenzia anche qui il connotato di proclama, al posto di una circostanziata presa di posizione che sia, appunto, sindacale e non politica. Nelle righe successive, sbrigativamente rispetto al peso dato alla questione precedente e non specificando adeguatamente, si parla di mancanza di dispositivi di sicurezza e revisione dei tiri scenici. Il Teatro di Roma però il 10 giugno diffonde un comunicato con cui spiega che verrà presto nominato una nuova direzione e nel quale afferma di aver predisposto tutti i dispositivi di sicurezza per gli ambienti e le persone, di aver risolto la situazione relativa alle autorizzazioni comunali per India all’aperto. Nello stesso comunicato si fa riferimento a una accusa di condotta antisindacale mossa da Libersind che il TdR smentisce categoricamente. C’è poi un’altra evidenza: dei comunicati Libersind non c’è nessuna traccia negli organi ufficiali del sindacato, sito internet e pagine Facebook ad oggi non sono aggiornate sullo stato di agitazione nel Teatro di Roma. E non ultimo c’è da segnalare il rischio che, nel tempo, questo utilizzo selvaggio e intimidatorio del diritto di sciopero, questo ricatto all’arte, finisca per rendere questa pratica conquistata da generazioni di lavoratori un’arma impropria, soggetta a strumentalizzazioni di potere. Inoltre, il 23 febbraio Libersind dirama invece un comunicato in cui afferma sì la necessità di stabilità ma riconosce anche la fiducia nella gestione dell’attuale presidenza e nel Cda; insomma tre mesi fa non c’era neanche traccia dei problemi di sicurezza di cui invece ora si lamenta la gravità. Si tratta di un groviglio di tensioni, ripicche e prove di forza evidentemente acuite da una spaccatura tutta politica. La richiesta di commissariamento ad opera di Federico Mollicone di Fratelli d’Italia è ormai un ritornello che settimanalmente si può leggere sul Tempo o sul Messaggero. Il partito di Giorgia Meloni da mesi è schierato contro l’attuale gestione, quando Corsetti si macchiò del peccato originale di lasciare la direzione generale per rimanere come consulente, scelta approvata da Cda e presidenza. Però la cosa più avvilente è non trovare neanche un commento dalla parte istituzionale, i soci del Teatro di Roma, ossia Ministero della Cultura, Regione Lazio e Comune: neanche un tweet dal gabinetto della Sindaca Raggi, dalla assessora Fruci, dagli uffici di Franceschini e Zingaretti. Tutto tace. Non si sbilanciano, non sanno decodificare la situazione, esprimono unicamente un silenzio colpevole. Non si tratta di prendere le parti di qualcuno, ma almeno di rassicurare, di stigmatizzare l’atteggiamento del sindacato e agevolare però insieme al Cda la soluzione del rebus sulla direzione. Rispetto allo sciopero, all’appello mancano anche i commenti degli altri sindacati, l’ultimo sul Teatro di Roma di Slc Cgil è del 9 giungo si concentra sulla necessità di stabilizzare i dipendenti ma nessuna parola sul blocco di India. C’è poi una questione culturale. In molti non accettano la pluralità artistica rappresentata dal duo Corona/Corsetti, non arrivano alla sincerità di Fratelli d’Italia che definisce il Teatro India come un centro sociale, ma comunque digeriscono con difficoltà le novità anche sul piano della programmazione: la danza di livello internazionale al Teatro Argentina, lo spazio ai piedi del Gazometro abitato spesso, anche durante il giorno, da incontri, workshop e attività formative, aperto artisticamente a visioni eterogenee, dalle sperimentazioni installative di Muta Imago al rigore registico e attorale di Civica. Una mescolanza, quella di Corsetti e Corona, che però guarda a un orizzonte ben preciso di senso e che ha tagliato i ponti con certe tradizioni, anche con alcuni grandi artisti e con un’idea conservativa dell’arte scenica, per investire su un immaginario in grado di guardare anche all’Europa e oltre, alle tensioni multidisciplinari e ai temi urgenti. Sono scelte, criticabili o meno, ma molto precise. A Roma tutto questo non può funzionare, o almeno sembra, perché a Roma bisogna accontentare tutti, altrimenti chi rimane fuori ti accusa subito di esserti chiuso in un centro sociale. Come sbloccare la situazione? È evidente la necessità di una mediazione esterna, di alto livello istituzionale; allo stesso tempo però non si possono leggere i comunicati Libersind senza rilevare una totale mancanza di precisione e di argomentazione. Quello del 12 giugno è quasi grottesco, dopo un titolo che probabilmente vorrebbe essere un buffo sberleffo, “Hasta la Victoria Siempre!”, il sindacato ritorna sulla richiesta di miglioramento dei livelli di igiene e sicurezza fino a chiedere il commissariamento per lo stato di pericolosità dei luoghi di lavoro. Ma quale pericolosità? Che cosa c’è di pericoloso? Di fronte ad accuse così impegnative c’è bisogno di precisione e trasparenza.

 

Lucia Medri

18/06/2024