se non sai ridere, non fare teatro
Muovendosi parallelamente su piani che si intersecano in pochi, densi momenti, lo spettacolo procede lasciando che sia lo spettatore con la propria sensibilità a scegliere da quale dei due flussi farsi trasportare: da un lato l’imponente apparato visivo, ritmico e sonoro tipico del lavoro di Wilson; dall’altro, la parola-termite di Pessoa, le sue molteplici voci, i cerchi concentrici del suo pensiero che si allarga in orizzontale e insieme scava in verticale. L’eredità poetica di Pessoa è la sua irrimediabile coscienza di sé, l’occhio implacabilmente impegnato a scandagliare l’esistere, capace di condurre nelle tenebre e aprire improvvisi squarci di luce. Tale metafora risulterebbe facile, correlata com’è anche al lavoro di Wilson, non fosse che i flussi narrativi, quello registico e quello autoriale – o si potrebbe dire: quello americano e quello portoghese – risultino svincolati al punto da essere persino a tratti l’uno la parodia dell’altro. D’altronde il maestro lo ha detto: se non sai ridere non fare teatro.
Lisboa
15/06/2024 |